domenica 11 novembre 2012

Un the con i regoli

Prendete una tisana natalizia, di quelle facili, in bustine, con nomi tipo "magia delle feste" o "armonia di stelle", si tratta sempre di erbe o di the con chiodi di garofano, aroma d'arancia e zenzero. Ottimo. 

 
Adesso proviamo un'antemprima di quei rari momenti di libertà sognatrice e nostalgica dell'infanzia, quelli che cadono qui e là nei mesi invernali come fiocchi indecisi pre-nevicata. Acqua del rubinetto tra gli 80 e i 100 gradi, a seconda che contenga frutta essiccata o meno (magari datteri!) e poi, importante, che fuori sia un po' uggioso (viva l'alternanza, fino a vent'anni fa l'autunno era autunno. Ora quelle atmosfere le vedo solo sui calendari, ma sono perlopiù foto del Canada).
Aggiungete alcuni biscottini a base di cannella e marzapane, a forma di stella, con glassa. Li potete anche fare, ma ora non c'è tempo, meglio averne sempre qualcuno a disposizione, comprati al forno Sottocasa (bel nome per un forno, no? Ne ho anche altri due o tre in mente) o in qualche discount, così sono di marche, e di gusti, meno riconoscibili: potete dire distrattamente che li avete presi nell'ultimo finesettimana "di ritorno da Norimberga, dove ora è finalmente possibile visitare il tribunale". 
L'alzata dell'Ikea si presta a una bella presentazione, ma va bene anche un piattino comprato al mercatino dell'usato con il découpage anticato. L'importante sarà il secondo piattino, quello che contiene...i regoli.



Di tutti i regoli che in tenera età ho toccato, ri-toccato, tentato invano di sprimacciare, guardato intensamente, ammirato nella loro coerenza colorata, cercato di piegare a giochi più rotondi, più flessibili, più avvolgenti, quelli che ricordo con maggiore affetto sono l'1, il 2 e il 10. E sono anche quelli di cui saprei subito, senza guardare, l'associazione numero/colore.
I primi due li ricordo bene, e con una certa gratitudine, perché, tra tutti, furono quelli che in silenzio, e dopo insistenze quotidiane e rompipalle, cedettero e si adattarono, o finsero di adattarsi, a giochi meno astratti, mentre tutti gli altri, che non mi attentavo a disturbare dato anche il grado maggiore, restavano muti, rigidi, incorruttibili. 
Nella fattispecie, sono sempre riconoscente a 1 e 2, che furono a più riprese tocchetti di mozzarella e brandelli di pomodori su pizze di cartone colorato. Anche gli 8 furono qualche volta tronchi d'albero, ma di attori "in parte" come 1 e 2 non c'è stato mai nessun altro.

E poi perché mi ricordo anche i 10? Di certo non per ragioni matematiche, né di calcolo astratto o di familiarizzazione con i numeri. Chissà se veramente la mia eventuale capacità di calcolo astratto deve qualcosa alla rigidità dei regoli. Non saprei. Ma da quella rigidità, da quella semplicità di vedute, da quella incapacità di piegare ai miei voleri anarchici quel mondo ideale, fatti salvi i piani bassi, ha cominciato a formarsi una visione delle cose "regol-ata". O che perlomeno prendeva in considerazione l'esistenza di aspetti del mondo "regolati" e imperituri. Con una percentuale che si poteva forzare, per adattarlo a noi, ma in una misura difficilmente maggiore del 20-25%. I 10 erano un punto di arrivo, calmo e saggio, grande, dove il posto c'era e c'erano direzione e scopo, forza vettoriale intelligente verso l'esperienza delle cose serie e degli snodi complessi.
Il resto: una foresta di simboli rigidi, un linguaggio faticoso, e alla fine un alfabeto affidabile, scambiabile, una buona base per andare avanti con elementi successivi. 

La garanzia, che cominciava a farsi promessa modellante di una vita graziosa, creativa, che ci sono scale percorribili, che ogni cosa è bella in sé e ha un suo valore, a prescindere dal valore numerico, e ha una sua parte, un suo posto nel tutto, senza il quale il tutto crollerebbe. Che sommando cosa a cosa si ha una cosa nuova, ma che è anche la somma delle sue parti, delle esperienze, degli investimenti di tempo e di energia, che tutte queste cose erano quantificabili e avevano un valore vero e incancellabile. E che questi gradini esistevano sia dentro le scatole dei regoli ma anche fuori ed erano lì, accessibili a tutti, quella era la norma.

Ingenuità? Per niente, è molto più difficile ed evoluto abituarsi a quel tipo di pensiero piuttosto che lasciarsi all'obliquità e al nostro (innato?) amorale familismo.

Diventando adolescenti, l'età dei grandi idealismi, ricordo che molti miei compagni ripetevano con un certo orgoglio: "Se c'è una cosa che ho imparato in questi anni è a fregarmene". Essere non-più-bambini significava essenzialmente essere cinici, imparare a liquidare quasi tutto e tutti usando meno parole possibile, magari con frasi preconfezionate. Chi erano i fornitori di quelle frasi? I loro genitori, più disincantati dei miei? La televisione? La diffusione di modelli che ammiccavano sempre ad altro, a mille sottotesti maliziosi, a rivoli di marketing e di narcisismo sempre insoddisfatto?

Ci sono voluti molti anni e successiva istruzione di buon livello e di buoni ideali, anni costruiti sui regoli, con quel 20-25% di ironia aggiunta, per capire, però solo alla fine, cioè tardi, che il vero scollamento tra istruzione e lavoro in Italia non sta nel fatto che il sistema universitario come lo conosciamo sarebbe impreciso perché non offrirebbe titoli in "Segreteria del dott. Rossi con basi Excel, SEO, conoscenze veterinarie per il suo cane Zeus e qualche cenno di burlesque". Quello che si dice formazione "più aderente alla domanda di mercato".
Lo scollamento non è di tecniche, ma di vedute. Che non ci abbiano mai detto la verità su come si sopravvive qui, e sulla stessa necessità di metterla in termini di sopravvivenza, è un fatto, oppure chissà dove stava quell'informazione, forse in un sottomondo dentro a quella scatola di regoli, che qualcuno ha intravisto in uno scomparto nascosto e moccioso e non vedeva l'ora di sfrucugliare.

Forse perché il mondo è in mano ai deboli di spirito in virtù della solita prima legge dell'economia?

Ma siamo stati tutti, in questo paese capovolto e ormai rovinato giù nel secondo mondo, recettori di narrazioni valoriali di intrattenimento (un po' quello che ci fanno oggi con Don Matteo in televisione) che in realtà valevano soltanto alla base della piramide. 

Per il resto c'è stata (c'è in parte ancora) in atto una sorta di "doppia educazione", di legge dell' occhio sociale per occhio sociale che deboli di spirito e bimbiminkia hanno abbracciato senza pensarci, appena hanno avuto orecchie per intendere. 
Sottotesto: fatti vedere la domenica mentre entri in chiesa/in associazione/a pranzo con i notabili, in giro con macchina-bene, figli-bene e piglio-bene, poi "a casa tua" fai tutto quello che vuoi. Riempi lo stampino. Diffondi la storiella, partecipa al gioco di ruolo poi nella realtà sfogati come ti pare. Stai attento a non uscire dal giro.
Peccato che non tutto quello che vuoi fare (cosa vuoi fare?) non si può fare perché "casa tua" non esiste. Nessuno sta solo a casa sua, mai. Sei sempre collega di qualcuno, vicino di qualcuno, concittadino di qualcuno, dirimpettaio, genitore di figli rumorosi, passante, consumatore, avventore.

Se ti fossi emancipato subito dall'obliquità e ti fossi guardato bene intorno, quando i regoli ti facevano ciao, ora saremmo ancora a pieno titolo nel primo mondo, con un 25% di ironia in più e con incredibile stile. E anche tu, chissà dove saresti, non dovresti nasconderti, potresti anche mollare i giochi di ruolo e le costose sovrastrutture che comportano e non saresti mai solo, mai indietro, come temi tanto. Invece sei sempre sulle spine e causi disagio, non hai quello che vuoi e quello che non vuoi hai paura di perderlo. E tutto per aver preteso che i regoli a te non si applicassero, quegli innocui narratori di inedite possibilità.

Intanto io contemplo i miei con simpatia, un po' sarà imprinting, e un po' sarà che la storia non è finita.


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