lunedì 19 novembre 2012

Di tutte le cose vedibili e invedibili



Non guardo molto la televisione; però questa non è una forma di snobismo o sfoggio di mancanza di tempo ma nei mesi e negli anni è diventata una specie di resistenza passiva, automatismo non ragionato, tentativo di non mollare le due dita ancora attaccate all'orlo della rupe. 
Forse vale quanto prendere propoli con la febbre a 39 o mangiare biologico stando a Milano. Forse vale poco o niente, ma male non fa. Comunque potrei anche dire non guardo molto verso il televisore quando è acceso.

Insomma, ho visto due cose di recente che, forse proprio perché ho meno familiarità col mezzo, quindi meno anticorpi, mi hanno aggravato lo spread con quella realtà.

La prima cosa è un talk-show di seconda/terza serata che si chiama "L'ultima parola" e si vede su Rai Due: il presentatore è Gianluigi Paragone, un personaggio che a quanto pare ha avuto dalla rete risme di carta bianca per fare di quello spazio un po' quel che voleva. Lui è questo:

 Ma è anche questo:
E nella trasmissione ci tiene a farlo vedere. Unendo, in una confusione di vedute che botulinizza lo sguardo dello spettatore ignaro, lo stile DJ Television, Aldo Biscardi, Gianfranco Funari, Michele Santoro, il pomeriggio di Rai Due, Report, Luca Barbareschi, Michele Mirabella. E ci metto pure Giacobbo, per il tentativo di creare dal nulla un culto della personalità. 

A un certo punto canta.

La vita è breve, bisogna vivere intensamente e fregarsene. Così Gianluigi "carta bianca" Paragone esprime se stesso e non risparmia nulla in un collage che alla fine non va da nessuna parte, ma riesce a caricare gli animi, citando stipendi di ministri e sprechi ladroni, dividendo l'arena degli spettatori presenti in studio in opinionisti del sì e del no, abbozzando come una rassegnata e saputa madre di famiglia gli inviti a non meglio specificati politici che non avrebbero accettato di venire in trasmissione e si capisce che lui si immagina il perché. 
E poi una finta tenzone con quelli in studio (Crosetto PdL, ad esempio, sempre più presenzialista) che però alla fine sono certamente presentati come bravi umani. 
E un rapporto da caposcout, ziesco ma fermo, con il pubblico ("fate una sola domanda, dai che sapete che sennò poi vi incartate").

A un certo punto canta.

Simpatico. Un altro talk-show che fa montare la bile senza modificare nulla tranne l'ego di Paragone, mentre le cose e le possibilità di cambiamento rallentano eppure continuano a lampeggiare altrove.

La seconda cosa invedibile, che ho visto più di una volta, è uno spot triste del marchio Golia fatto con una metafora narcisistica e furba pronta per imprimersi grotteschina - anche se loro pensano di no - nell'animo dei fan degli horror morbosi, quelli con il cattivone sadico-autistico, collezionista e fine modellatore di corpi umani (altrui). 

Ma, perché no, allora anche di inconsapevoli fan dei crimini di note prigioni e recenti guerre, dove succedevano proprio cose simili: nello spot della caramella alla menta, un poveraccio non si sa perché è legato a una carriola e asservito ai voleri dei vicini di casa


Fosse stato un animale (chessò un orso bianco ad esempio, adatto per queste caramelle alla menta, legato sulla carriola a testa in giù) perlomeno l'ENPA avrebbe cercato di impedire lo scempio etico (o no?), fosse stata una donna, via di commenti sull'utilizzo mediatico del corpo delle donne, ma così resta il dubbio che sia un'ideona autoriale. 

Peccato che la regia non lo lascia questo dubbio, perché non convoglia né citazionismo, né atmosfera parodica, né particolare intelligenza, o contesto o atmosfera, quindi resta tutto così, lì per far parlare i bimbiminkia: "dai, c'è uno legato su una carriola e lo usano per farlo soffiare sulle lenzuola e asciugarle. Spettacolo." 
Eh sì, è proprio uno spettacolo. In tempi di crisi economica e creativa, benvenuti nell'estetica di Guantanamo.

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