venerdì 16 novembre 2012

Corpi estranei (per un nuovo storytelling)


Sotto i grigi piovaschi anti-democratici odierni, parlare di bellezza implica sempre dare norme alla bellezza (fisica, morale, relazionale) attraverso l'apparente disinteressata indicazione di esempi da seguire e armonie da ritrovare e attraverso la premiazione simbolica e fattuale di chi prima e più elasticamente si deforma per conformarsi meglio: occuparsi di questo vuol dire trovarsi a margine di un più ampio discorso di potere.

Ma poiché nulla si distrugge, quello che scompare dalle realtà fittizie che viviamo, spinto via solo nella forma, ma non nella sostanza, ricompare altrove nel buio delle narrazioni che contengono tutte le storie di bellezza (fisica, morale, relazionale) normata e manipolata, rivive ogni volta che emergono dal grigio ritratti di corpi che non si piegano al comandamento seriale, rivive come rappresentazione politica per una libertà di immagine che è ora inalienabile dovere.

La sintonia predicata con corpi conformati è un vangelo di guerra, diffuso a tappeto perché non ci siano più spazi né si formino nuovi saperi o interazioni legittimate con altro che non sia quello, per delimitare il poco lecito dalla terra brulla dei corpi estranei, sepolti vivi. Questi, inchiodati ognuno alla sua categoria serva negli ambiti definiti "del disagio", che è spesso solo quello di chi li constata, devono essere custoditi uno ad uno, delatori di una sostanza che invece è rimasta al suo posto.
 
Le storie di corpi sputati via e trattenuti appena in tempo sulla pagina e sulla tela, in foto e nei frame, soprattutto nella memoria, ci ricordano che senza la diversità non c'è vita e che gli uomini a una sola dimensione, come diceva Husserl, sono delle povere anime di cui il potere ha sempre fatto e farà sempre ciò che vuole.

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